Perché ho fortemente voluto leggerlo? Perché è stato il caso editoriale del 2008, ovviamente, ma anche perché Paolo Giordano, oltre ad essere un giovane scrittore esordiente carino carino, è anche un ricercatore in fisica. Un dettaglio che può sembrare ininfluente, ma che, nel mio caso, sovverte tutta la serie di preconcetti sugli studiosi di fisica biologia e materie attinenti. A dire il vero, li pensavo più concreti, certamente non propensi al romanzo.
Beh, mi sbagliavo, lo ammetto.
La solitudine dei numeri primi è un romanzo che narra parallelamente le vite di Alice e Mattia, due ragazzi speciali segnati per sempre da un passato doloroso che li porta spietatamente a diventare incapaci di vivere una vita completamente normale. Incapaci di interagire col mondo esterno, come anche di trovare un equilibrio tra di loro, crescono incrociandosi e scoprendosi strettamente uniti, anche se comunque invincibilmente divisi, come quei numeri speciali che i matematici chiamano i “primi gemelli”, appunto:
“I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi. Certe volte pensava che in quella sequenza ci fossero finiti per sbaglio, che vi fossero rimasti intrappolati come perline infilate in una collana. Altre volte, invece, sospettava che anche a loro sarebbe piaciuto essere come tutti, solo dei numeri qualunque, ma che per qualche motivo non ne fossero capaci”.
Affascinante, coinvolgente, scritto molto bene, l’ho apprezzato anche se tutto il gran parlare che ha accompagnato l’uscita del libro ha alimentato delle attese difficili da soddisfare se non si è proprio dei geni (e non solo matematici).