La tua casa, essendo il luogo in cui tu leggi, può dirci qual è il posto che i libri hanno nella tua vita, se sono una difesa che tu metti avanti per tener lontano il mondo di fuori, un sogno in cui sprofondi come in una droga, oppure se sono dei ponti che getti verso il fuori, verso il mondo che t’interessa tanto da volerne moltiplicare e dilatare le dimensioni attraverso i libri. Italo Calvino
Qual è il desiderio di un Lettore? Leggere un romanzo, naturalmente. E dove finiscono le storie? E soprattutto, si può arrivare alla fine di una storia?
Da queste premesse parte la vicenda del Lettore di Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, che insieme alla Lettrice, per ragioni sempre differenti è costretto a interrompere la lettura del libro che sta leggendo e intraprendere la lettura di un altro.
Un metaromanzo che, interrogandosi sulla stessa natura del romanzo, attraverso un gioco letterario riflette sulle molteplici possibilità offerte dalla letteratura. E il risultato più evidente di questo gioco ironico è la frase che si costruisce unendo i titoli dei dieci romanzi in cui incappa il Lettore, che costituisce essa stessa l'incipit di un altro romanzo:
Se una notte d'inverno un viaggiatore, fuori dell'abitato di Malbork, sporgendosi dalla costa scoscesa senza temere il vento e la vertigine, guarda in basso dove l'ombra s'addensa in una rete di linee che s'allacciano, in una rete di linee che s'intersecano sul tappeto di foglie illuminato dalla luna intorno a una fossa vuota – Quale storia laggiù attende la fine? – chiede, ansioso d'ascoltare il racconto.
Un’ulteriore dimostrazione che la ricerca del finale porta solo alla scoperta di altri libri, pur sempre incompleti, che il finale va immaginato e il compito di farlo spetta al lettore, più che allo scrittore. Insomma, leggere un libro vuol dire riscriverlo.
E negli intermezzi tra un libro e l’altro c’è la vita, quella vera, quella del Lettore e della Lettrice che stanno leggendo queste storie, che vivono insieme una storia d’amore e di lettura
Attori: Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini, Giorgio Tirabassi, Max Mazzotta, Franz Rogowski
Musiche: Michele Braga, Gabriele Mainetti
Produzione: Lucky Red, Goon Films, Rai Cinema
Durata: 141’
“Povertà, sfruttamento e abbandono sono le ferite di un Paese orfano di certezze. Il paesaggio desertico diventa metafora della vita di tutti i ragazzi privati di una famiglia e dei loro diritti. Attraverso gli occhi di un bambino, il film ci proietta nel profondo di una tragica realtà nella quale il protagonista ci mostra che affermare la propria identità è sempre possibile… Un’imprevedibile atmosfera conquista lo spettatore proiettandolo in un mondo tanto spettacolare quanto catastrofico. Tra tendoni da circo e campi da guerra quattro protagonisti, nella loro diversità, esprimono la necessità di essere umani. Un’opera innovativa e coraggiosa, che racchiude in una grande avventura fra sogno e realtà, tutto l’amore per il cinema”.
Motivazione al conferimento del Leoncino d’oro (Mostra del Cinema di Venezia)
Una serata al cinema inaspettata, organizzata in quattro e quattr’otto, per un film ancora più inaspettato, Freak out di Gabriele Mainetti. Sì, perché dopo Jeeg Robot, da questo vendicatore del cinema italiano mi aspettavo tanto e ho ricevuto ancora di più.
Una sceneggiatura pazzesca, scritta da Mainetti a quattro mani con Nicola Guaglianone, che ha messo in moto in una Roma del ’43 dei personaggi straordinari oltre che pop: Matilde (Aurora Giovinazzo), la protagonista principale, una ragazza elettrica che non sa controllare i poteri che vede scatenarsi in lei appena prova sentimenti come ira, paura e amore; Cencio che sa manipolare gli insetti a proprio piacimento, interpretato da Pietro Castellitto, che recentemente ho apprezzato anche in La profezia dell'armadillo di Emanuele Scaringi, e che qui ritroviamo in versione albino; Fulvio, l’uomo scimmia forzutissimo ma anche gentile e intellettuale (Claudio Santamaria); e Mario, un nano che attira gli oggetti di metallo come una calamita (Giancarlo Martini).
A capitanare questo gruppo di scappati di casa c’è Israel (Giorgio Tirabassi), mago e impresario ebreo del Circo Mezza Piotta, un circo magico senza animali che gira nella campagna romana.
La figura del nemico è invece impersonata da Franz (Franz Rogowski), un nazista tedesco con sei dita per mano capace di “vedere” il futuro, dote che lo ha reso celebre come pianista, permettendogli di rubare le canzoni dal futuro (Creep dei Radiohead e di Sweet Child o mine dei Guns N’ Roses), ma che lo ha anche reso consapevole del ruolo che poteva avere nello scongiurare l’imminente caduta del Reich: usa il circo che possiede par andare in cerca di mutanti dai superpoteri e poter così diventare un generale, come ha sempre sognato.
Siamo nel pieno del conflitto mondiale e i quattro freaks con poteri misteriosi sono allo sbando dopo che Israel è scomparso mentre trovava il modo di portare il gruppo in America.
Matilde decide di andarlo a cercare, mettendo in moto un vero e proprio viaggio dell’eroe, dove, insieme ai suoi amici, incapperà in mille avventure, per crescere e maturare, arrivando ad accettare e comprendere a pieno i suoi superpoteri.
A questi “fenomeni da baraccone” si aggiungerà poi una banda di partigiani particolari capitanata da Max Mazzotta.
Mi piace questo Gabriele Mainetti che con una gagliarda fiaba romanesca omaggia il neorealismo italiano (contaminandolo con il fantasy) e il grande cinema, tanto che dentro sembra di vederci almeno 50 film: c’è chi ci ha visto Il Mago di Oz (Matilde sarebbe Dorothy, con tanto di treccine e grembiule, Fulvio il leone, Mario l’omino di latta e Cencio lo spaventapasseri; chi ci ha trovato il Tarantino di Bastardi senza gloria, ma anche Fellini e Monicelli.
Un Mainetti tutto fare: sua la sceneggiatura del film, scritta in collaborazione con Nicola Guaglianone da un soggetto originale di quest’ultimo, curatore delle musiche insieme al compositore Michele Braga. Una colonna sonora orchestrata da Emanuele Bossi, premiata con il Soundtrack Stars Award 2021 per la migliore colonna sonora tra i film in concorso alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia in quanto “elemento protagonista e di assoluto rilievo all’interno del film, unendo elementi della nostra tradizione musicale a un sound più contemporaneo e passando anche attraverso le riletture di classici come Creep dei Radiohead, trasformata al pianoforte in stile Rachmaninov dal nazista esaltato Franz, o Bella Ciao, riletta in chiave avanguardista”.
Unica pecca? L’eccessiva lunghezza, che comunque non ho sentito tanto perché coinvolta in quello che stava succedendo. Insomma, un grande tributo alla cultura pop in grado di dimostrare che il cinema italiano può essere anche altro.
"PELLE", il mio primo romanzo che consiglio a tutti!
Siamo nella Milano dei giorni nostri, in quella zona periferica che da Greco conduce a Sesto San Giovanni. In un autobus dell'ATM, un autista, ormai stanco del suo lavoro, deve affrontare una baby gang che spaventa i suoi passeggeri. Si chiama Bruno ed è uno dei tanti laureati insoddisfatti costretti a fare un lavoro diverso da quello da cui ambivano: voleva fare il giornalista e invece guida l'autobus nella periferia di Milano. Ma non gli dispiace e non si lamenta. E' contento lo stesso: è il re del suo autobus e i suoi passeggeri sono solo spunti interessanti per i racconti che scrive. Li osserva dallo specchietto retrovisore, giorno dopo giorno, li vede invecchiare, li vede quando sono appena svegli e quando tornano dal lavoro stanchi morti, e passa il tempo ad immaginarsi la loro vita. Finché nella sua vita irrompe Margherita, con la sua vita sregolata, con i suoi problemi di memoria, con i suoi segreti. E tutto cambia. Fuori e dentro di lui.