Scoprivamo memorie ed esperienze a noi sconosciute, sentivamo come sia imprigionante la condizione di ragazza, come rendeva la mente più attiva e sognatrice e come alla fine si faceva a capire quali colori andassero bene insieme. Scoprimmo che le ragazze in realtà erano donne travestite, che capivano l’amore e la morte e il nostro compito altro non era che fare quel chiasso che sembrava affascinarle tanto. Capimmo che sapevano tutto di noi, e che noi non potevamo comprenderle affatto.”
Film particolare, tratto dal romanzo omonimo di Jeffrey Eugenides, che ha consacrato alla regia la figlia d’arte Sofia Coppola, prima della sua biogtafia pop di Maria Antonietta,
Un lungometraggio in cui una serie di istantanee offuscate ritraggono i diversi stati d’animo che andranno poi a costituire la trama stessa del film, in cui la vita di un eclettico gruppo di ragazzi viene sconvolta dalla loro ossessione verso le cinque bellissime sorelle Lisbon, Cecilia, Lux, Bonnie, Mary e Therese, alle prese con un’adolescenza tormentate da genitori che credono di fare il loro bene. Una madre (K. Turner) timorata e intransigente che arriva a costringere una delle sorelle a bruciare i propri dischi per punizione, cercando di proteggere la propria famiglia da tutto ciò che costituisce devianza. Un padre (J.Wood) assente, troppo impegnato a costruire modellini, per accorgersi di quello che accade in tra le mura domestiche.
In sottofondo la colonna sonora (affidata al duo francese Air) sottolinea incredibilmente il passaggio dall’interiorità di Lux (K. Dunst) e delle altre sorelle al freddo perbenismo dei coniugi Lisbon, per mezzo di continui passaggi di atmosfere cupe e passionali al gelo, all’ossessione religiosa che imbriglia il desiderio di vivere nelle ragazze.
La figura femminile che ne emerge è una donna intrinsecamente sola in tutte le fasi della sua vita, ma dotata di un’incommensurabile carica energetica tanto più presente quanto più imprigionata dietro una presunta inncocenza, mentre l’uomo è assente o, se presente, quantomeno irrilevante.
Un lungometraggio molto intenso che si imparonisce del circuito nervoso dello spettatore e dei suoi ricordi e in cui la telecamera altera la relatà, trasformandola in percezione soggettiva e quindi, in quanto tale, in realtà filtrata da una condizione di straniamento melanconico, in cui la vita è altrove e viene vissuta indirettamente attraverso riviste patinate e cataloghi di viaggio, in un’atmosfera ovattata dai colori pastello.