mercoledì 31 agosto 2011

Ancora Murakami: TUTTI I FIGLI DI DIO DANZANO


TUTTI I FIGLI DI DIO DANZANO



Autore: Murakami Haruki
Titolo: Tutti i figli di Dio danzano
Anno di pubblicazione: 2005
Editore: Einaudi
Pagine: 156
Euro: 12,00
ISBN: 9788806178130
Traduzione: Giorgio Amitrano



I racconti contenuti in Tutti i Figli di Dio danzano

· Atterra un UFO su Kushiro

· Paesaggio con ferro da stiro

· Tutti i figli di Dio danzano

· Thailandia

· Ranocchio salva Tokyo

· Torte al miele



Tutti i figli di Dio danzano è una raccolta di racconti di Haruki Murakami accomunati da un tema, il terremoto di Kobe, che ha segnato grosso trauma della storia del Giappone degli anni ’90.

I personaggi di Murakami sono dei sopravvissuti che nascondono nelle profondità delle loro anime le cicatrici di una tragedia che vorrebbero rimuovere ma che costantemente tornano come fantasmi nel loro quotidiano, richiamandone costantemente la loro attenzione

A questo punto, al centro di ogni racconto, come nelle favole della buonanotte raccontate ai bambini, nel bel mezzo di una natura morta di sentimenti contrastati, interviene un incontro chiave in grado di aprire uno spiraglio di luce e di cambiare il corso di un'esistenza, la promessa di una via d'uscita dal dolore della morte o addirittura la salvezza dalle paure di una città intera.



Riporto qui di seguito una citazione in cui ho trovato il senso profondo che personalmente attribuisco ai sei racconti: mentre stai per cadere, c’è sempre qualcuno che ti afferrerà al volo. Basta abbandonare la rigidità e lasciarsi andare.

"Calpestava la terra, e roteava le braccia con eleganza.

Ogni movimento chiamava il successivo, e si collegava a esso in modo autonomo. Il suo corpo tracciava un diagramma dopo l'altro.

E in quella danza vi erano forma, variazioni e improvvisazione. Dietro al ritmo c'era un ritmo, e tra di essi vi era un altro ritmo invisibile.

In alcuni momenti chiave, Yoshiya riusciva a cogliere una visione d'insieme dei loro complessi intrecci.

Diversi animali erano nascosti nella foresta, come in un'illustrazione cifrata. Vi apparteneva anche una belva spaventosa che non aveva mai visto.

A un certo punto sapeva che avrebbe dovuto attraversare quella foresta. Ma non aveva paura. Cosa aveva da temere? Era la foresta che esisteva dentro di lui. E la belva quella che lui stesso portava con sé.

Yoshiya non sapeva per quanto tempo aveva danzato. Però era durato a lungo. Abbastanza a lungo da avere le ascelle bagnate di sudore.

Poi a un tratto pensò a tutto ciò che esisteva al centro della terra che adesso calpestava. Lì c'era il rifugio sinistro di un'oscurità profonda, una corrente sotterranea, sconosciuta agli uomini, che trasportava il desiderio, un brulicare di viscidi insetti, e lì si annidava quel terremoto che trasformava le città in ammassi di detriti. Tutte queste energie contribuivano a creare il ritmo della terra.

Yoshiya smise di danzare, e mentre cercava di regolare il suo respiro, abbassò lo sguardo sulla terra ai suoi piedi, come se spiasse una voragine senza fine."


martedì 9 agosto 2011

PALOOKAVILLE – ovvero, io amo Vincent Gallo!


Regia: Alan Taylor

Uscita Originale: 1996

Cast: William Forsythe, Vincent Gallo, Adam Trese, Gareth Williams, Frances McDormand

Genere: Un mix tra Commedia e Poliziesco

Durata: 1h 32m


Per caso, sfracellata sul divano, mentre cambiavo canale in cerca di qualcosa che catalizzasse il mio sguardo, mi sono bastati pochi secondi per rimanere intrappolata da Palookaville, un film americano del 1995 di Alan Taylor scritto da David Epstein,

In una cittadina del New Jersey tre giovani disoccupati, Jerry, Russ e Syd, i classici buoni a nulla più per svogliatezza che per mancanza di doti personali, stanchi della vita che conducono e delle umiliazioni a cui ogni giorno vengono sottoposti, si spremono il cervello alla ricerca di un’attività alla loro altezza, non troppo pesante, interessante, con degli orari buoni etc…etc….che li garantisca di portarsi a casa la pagnotta.

Un po’ per caso, un po’ per il destino che fa venire un infarto al guidatore del portavalori che viaggiava davanti a loro, decidono di tentare il colpo della vita, ma la loro inconcludenza sarà di ostacolo, tanto che alla fine verranno pubblicamente premiati per una buona azione.

Il film ha un bel ritmo, ha la dose giusta di ironia e amarezza, di rabbia e di tranquillità. In alcuni punti rimanda a quell’arte rarissima di sopravvivere dei Soliti Ignoti di Monicelli, e alla fine, anche la dedica mi stupisce: a Italo Calvino (in realtà il film è un adattamento di un suo racconto breve).

venerdì 17 giugno 2011

Titolo originale: The Tree of Life
Nazione: U.S.A.
Anno: 2010
Genere: Drammatico, Fantastico
Durata: 138′
Regia: Terrence Malick
Cast: Brad Pitt, Sean Penn, Fiona Shaw, Jessica Chastain

"Un giorno cadremo e verseremo lacrime. E capiremo tutto, ogni cosa."



Complesso e poderoso.

Pura poesia visiva. Immagini a metà tra la grazie e il nulla.

Una danza degli spiriti su uno sfondo siderale, fra luce e tenebra, creazione e distruzione, grazia e natura.

Lo schermo nasconde un mondo mai visto prima, vivo e grandioso.

Dietro la storia del singolo c’è la vera combustione del mondo e dietro la vera combustione del mondo c’è un creatore con cui bisogna fare i conti, un Dio prepotente che esige sacrifici.

Poi, la Rabbia, con la Erre maiuscola, di chi guarda le cose succedere senza riuscire a coglierne il senso.

La trama? Non so se si può definire così. Il film somiglia più a un ritratto di famiglia, di una famiglia texana in particolare, gli O’Brien: un padre tradizionalista e molto esigente (Brad Pitt), una madre dolcissima e piena di attenzioni (Jessica Chastain), e i loro tre figli. La loro storia viene rivissuta dal rancoroso Jack, figlio maggiore diventato adulto (Sean Penn) e viene dispersa nel corso della vita, dall’origine del mondo (dinosauri inclusi) ad oggi.

Un capolavoro. Un opera geniale e urlante. Che disorienta.

domenica 10 aprile 2011

POETRY (un film di Lee Chang-dong)



La poesia non è solo un genere letterario. E’ piuttosto qualcosa d’inafferrabile e invisibile, che non si può quantificare in termini economici. La poesia è il mondo, è la vita e malgrado le cose brutte che ci sono all’esterno, c’è sempre qualcosa di molto bello interiormente.”

(Lee Chang Dong, tratto da un articolo di Aldo Spinello del 20/05/2010).

Presentato a Cannes 2010, Poetry è un film coreano che racconta un momento di vita di Mija (Yoon Hee-Jeong) una donna di sessantasei anni con una grande passione per i fiori e per la poesia, che si guadagna da vivere come donna di servizio e che si trova a dover affrontare da sola un nipote adolescente e un principio di Alzheimer.

Quando il nipote si mette nei guai, per aver violentato, insieme ad altri compagni, una ragazza della sua scuola media che si è suicidata, Mija affronta la sofferenza e i sensi di colpa rifugiandosi nella bellezza e nella poesia.

Al corso di poesia a cui si iscrive le suggeriscono di guardare le cose attentamente, da nuove prospettive e di annotare quello che vede. E’quello che farà, riuscendo infine a scrivere la sua poesia.

Lee Chang-dong accosta con gentilezza il candore di Mija al cinismo della società coreana rispettosa dei ruoli e delle formalità, la ricerca della poesia all’incomunicabilità che caratterizza la vita quotidiana, lo splendore degli spazi e delle montagne verdeggianti a un fiume che diventa minaccioso suo malgrado, l'alzheimer, appena accennato nel film, che cancella i ricordi, e le vergogne alla poesia che li riporta a galla.

Un’opera curata sin nei minimi dettagli, dove tutto torna e dove nulla è mostrato a caso, sicuramente inadatto a chi non apprezza la lentezza.

sabato 9 aprile 2011

La rivincita di noi “limerence addicted”


Forse c’è ancora spazio per noi nel mondo. Forse anche noi ci possiamo salvare.

Leggo un articolo di David Brooks de LaRepubblica del 2 aprile 2011 che mi ero messa da parte per poi riprenderlo con più calma. Già il titolo attira la mia attenzione: Le cinque virtù dell’Uomo Nuovo. Dalla sintonia al desiderio di infinito ci salveranno le qualità emotive.

Questo giornalista canadese che scrive sui più importanti giornali americani, tra i quali il New York Times, il Wall Street Journal, Newsweek, e che ha da poco pubblicato il suo nuovo libro The Social Animal: The Hidden Sources of Love, Character, and Achievement, in cui revisiona il significato fino ad oggi socialmente attribuito al concetto di “Capitale Umano”, riabilitandolo e strappandolo dalla restrittiva interpretazione che lo vede come il risultato di un mix di quoziente intellettivo e competenze professionali.

In realtà il mondo della ricerca da anni sta andando verso un’altra direzione, più profonda, nel tentativo di ricercare nuovi talenti, in grado di fondere in sé razionalità e emotività.

Vorrà dire che nei nostri prossimi colloqui, invece di essere giudicati per studi e passate esperienze, saremo valutati anche per

<<

· SINTONIA: La capacità di immedesimarsi nella mente altrui, prendendo conoscenza di ciò che ha da offrire.

· PONDERATEZZA: La capacità di osservare serenamente i moti della propria mente e di correggerne gli errori e i pregiudizi.

· METIS, da Metide, dea greca della saggezza, ntd.:la capacità di individuare gli schemi e i modelli di sistemi aggregati (pattern) comprendendo l’essenza delle situazioni complesse.

· SIMPATIA: la capacità di inserirsi nell’ambiente umano che ci circonda e di evolvere all’interno dei movimenti di gruppo.

· LIMERENCE (termine coniato dalla psicologa Dorothy Tennoy per descrivere lo stadio finale, quasi ossessivo dell’amore romantico, una sorta di ultra attaccamento, ntd): più che un talento, è una motivazione. Se la mente cosciente è avida di denaro e di successo, quella inconscia ha sete di momenti di trascendenza in cui, mettendo a tacere la skull line (la “linea del cranio”) ci abbandoniamo perdutamente all’amore per l’altro, all’esaltazione per una missione da svolgere, all’amore di Dio. Un richiamo che sembra manifestarsi in alcuni con potenziale molto maggiore rispetto ad altri>>.

Una rivalutazione dei “Limerence addicted”, potremmo chiamarli così, autoimprigionati nel proprio inconscio, una nuova attenzione verso l’empatia, la veggenza, la meditazione, l’unione tra filosofia orientale e occidentale che stavamo aspettando.

domenica 6 marzo 2011

BLACK SWAN - IL CIGNO NERO

REGIA: Darren Aronofsky

SCENEGGIATURA: Darren Aronofsky, Mark Heyman, John McLaughlin

ATTORI: Natalie Portman, Vincent Cassel, Mila Kunis, Winona Ryder, Barbara Hershey,

FOTOGRAFIA: Matthew Libatique

MUSICHE: Clint Mansell

PAESE: USA 2010

GENERE: Drammatico, Thriller



Film di apertura del Festival di Venezia 2010 interpretato da Natalie Portman, Vincent Cassel e Milan Kunis, Black Swan è un thriller psicologico ambientato a New York.

Nina, Natalie Portman (Premio Oscar 2011 per la migliore attrice), è una ballerina di danza classica giovane e ambiziosa che la compagnia del New York City Ballett sceglie come prima ballerina per Il lago dei cigni.

Per riuscire ad entrare fino in fondo nella parte e trovare dentro se il Cigno Bianco, delicato e innocente, e il Cigno Nero, caratterizzato da una seducente malvagità, che dovrà mettere in scena, si ritrova in una ragnatela intessuta di competizione, incubi, fantasie, gelosie nascoste, ossessioni.

Dovrà scontrarsi con la sensuale Lily (Mila Kunis), ultima arrivata nella compagnia che diventerà la sua più grande rivale, con la madre Erica (Barbara Hershey), un’ex ballerina oppressiva e ossessionante, con un direttore artistico (Vincent Cassel) che la spinge ad osare cercando di tirarle fuori il lato oscuro e incontrollato, con quel che resta di Beth Macintyre (Winona Ryder) ex prima ballerina che Nina andrà a rimpiazzare.

Un film con la consistenza di una sceneggiatura teatrale in cui la colonna sonora (musiche di Tchaikovsky e Clint Mansell) aiuta a mantenere una tensione costante, in cui ancora una volta Darren Aronofsky si concentra su un corpo martoriato, sulla sessualità negata, sulla ricerca della perfezione:

"Alcune persone considerano il wrestling come la più bassa delle forme d'arte, mentre altri ritengono che il balletto sia la più alta, ma in realtà hanno qualcosa di molto simile. Mickey Rourke come wrestler viveva delle esperienze assolutamente paragonabili a quelle di Natalie Portman come ballerina. Entrambi sono degli artisti che utilizzano i loro corpi per esprimersi, ma sono minacciati dai malanni fisici, perché i loro corpi sono gli unici strumenti che hanno per comunicare. La cosa interessante per me era trovare due storie collegate in quelli che potrebbero sembrare dei mondi distanti", spiega Darren Aronofsky.

Un film che entra in contatto con lo spettatore, violando la sua sensibilità, tanto che, secondo un articolo del The Hollywood Reporter, in un Multiplex di Riga, durante la proiezione del film un ragazzo di 27 anni , durante i titoli di coda, ha estratto la pistola e si e è fatto giustizia sparando a un altro spettatore colpevole di aver mangiato i pop corn troppo rumorosamente. Si parla di una totale identificazione con la ballerina protagonista del film.

Insomma, un film che divide, un capolavoro.

sabato 8 gennaio 2011


REGIA: Gabriele Salvatores

SCENEGGIATURA: Gabriele Salvatores, Alessandro Genovesi

ATTORI: Margherita Buy, Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Fabio De Luigi, Carla Signoris, Valeria Bilello, Gianmaria Biancuzzi, Alice Croci

PRODUZIONE: Colorado Film

PAESE: Italia 2010

GENERE: Commedia

DURATA: 90 Min


Lo so che il proposito di questo blog è di annotare le cose belle incontrate, ma oggi devo fare un’eccezione, forse, perché Happy Family mi è rimasto sul gozzo, e non ci posso credere, non può essere Salvatores a deludermi così tanto, e ho bisogno di capire, perché sono certa che ci deve essere una spiegazione.

E io per capire scrivo.

Ora veniamo al dunque. Happy Family è una commedia diretta da Salvatores

L’ho visto senza aver letto o sentito commenti e/o recensioni, così a mente vergine, anche se qualche aspettativa nei confronti di Salvatores devo ammettere che

ce l’avevo.

La trama è bizzarra, divertente: i personaggi ideati da uno sceneggiatore in crisi prendono vita e coinvolgono il loro creatore in uno scontro/incontro tra due famiglie dovuto alla ferma decisione di sposarsi presa dai loro rispettivi figli appena sedicenni.

E fin qui niente di male. Quello che d’istinto mi perplime è proprio la regia

Prima scoperta: in realtà il film ha preso spunto da uno spettacolo di Alessandro Genovesi (prodotto al Tetro Elfo di Milano) a sua volta ispirato ai Sei personaggi in cerca di autore di Pirandello.

Eh beh, eh behbeh, mi dico.

Seconda scoperta: le citazioni, molteplici. Per esempio c’è la scena in cui Caterina si sente gli occhi addosso di tutti i passeggeri del tram, ripresa dalla scena iniziale di 8 ½ di Federico Fellini. Poi c’è il richiamo a Marrakech Express, dello stesso Salvatores, quando Bentivoglio e Abatantuono parlano del loro primo incontro in Marocco.

Aaaaah, eeeeeh, dico, quasi con un sospiro di sollievo.

Terza scoperta: la fusione tra vita, commedia e film, in cui la commedia racconta la vita come se la vita fosse un film, e contemporaneamente il film racconta la vita come fosse una commedia, con i personaggi che escono dallo schermo e interagiscono con il narratore e con il pubblico stesso e con un finale metacinematografico che riunisce le tre dimensioni

Ooooohhh, e qui comincio ad agitarmi dalla sedia per l’agitazione che mi prende davanti a questa genialata.

Quarta scoperta: la geometria. Happy Family è geometricamente perfetto che si apre e si chiude a cerchio con una panoramica sull’appartamento/studio di un autore incasinato pieno di oggetti ai quali si appiglierà nel corso della scrittura.

Conclusione?Intellettualmente bello e genialmente costruito.

Ma dov’è finita la spontaneità?









domenica 26 dicembre 2010

AMERICAN LIFE -Away We Go


TITOLO ORIGINALE: Away we go

PAESE: Gran Bretagna, USA 2009

REGIA: Sam Mendes

GENERE: Commedia, Drammatico, Sentimentale

SCENEGGIATURA: Dave Eggers, Vendela Vida

FOTOGRAFIA: Ellen Kuras

MUSICHE: Alexi Murdoch

CAST: John Krasinski, Maya Rudolph, Carmen Ejogo, Maggie Gyllenhaal, Chris Messina, Paul Schneider, Allison Janney, Jim Gaffigan, Josh Hamilton, Melanie Lynskey, Samantha Pryor, Conor Carroll, Bailey Harkins




American Life (titolo originale Away We Go) è la storia di una tenera coppia di trentenni innamorati. Burt e Verona, interpretati da John Krasinski e Maya Rudolph, sono in attesa del loro primo figlio e stanno cercando di sistemare le loro vite per accogliere al meglio il nuovo inatteso membro della loro futura famiglia.

Una bella città, una bella casa, un bel lavoro, degli amici con cui trascorrere il proprio tempo libero, questo è quello che vorrebbero, ma prima di arrivare a tanto dovranno “crescere”, affrontando da soli le loro vite fatte di goffaggini, frustrazioni, fallimenti e insicurezze, fino ad accettarle.

Per questo, i due decidono di lasciare la casa degli studenti dove ancora abitano, e di intraprendere un viaggio attraverso Stati Uniti e Canda, chiedendo ospitalità a parenti e amici, per cercare la loro casa perfetta, un posto dove vivere serenamente e tirare su la bambina che sta per nascere.

Ma la cosa non è semplice come sembra: l’American Life che scopriranno è lontana dai grattacieli e dal traffico ed è fatta di individui grotteschi, hippie nevrotici, coppie frustrate che non possono avere figli, madri egoiste incuranti dei figli.

Una indiretta riflessione sull’essere genitore che nasce spontanea e che li porterà a ripercorrere tutte le cicatrici nascoste per ritrovare il punti di partenza e tornare alla casa d’infanzia di Verona, quella dove è cresciuta con i propri genitori che poi ha perso a 22 anni, il posto più bello di tutti, immerso nella natura, con vista sul lago.

Sam Mendes (quello di American Beauty e Revolutionary Road per intenderci) si conferma un regista sorprendente e accanto a lui anche i suoi attori in grado di fare impallidire le star di Hollywood anche se poco conosciuti, scelta dovuta al budget limitato di un film che si può definire indipendente

Semplice e tenera la sceneggiatura di Dave Eggers e della sua compagna Vendela Vida, in grado di perforare lo sterni e di arrivare dritta al cuore, così come stupenda è la fotografia di Ellen Kuras.

La colonna sonora del film, Invece mi ha lasciata spiazzata. Avrei detto Nick Drake, ne ero certa, stessa voce e stesso stile, e invece è curata dal cantautore britannicoAlexi Murdoch, considerato da molti per l’appunto la reincarnazione di Nick Drake.

Divertente e tenero, di quelli che lasciano il sorriso stampato in faccia per giorni e giorni, un film inconsueto e controcorrente, dove non si parla di rapine, di fughe a Las Vegas, di carriera e shopping, di vampire etc. etc., ma dove la semplicità della Vita (con V maiuscola) ritorna ad essere il punto di partenza e il punto di arrivo del desiderio di famiglia, di pace, di serenità. Ci vuole coraggio a sbattere in faccia al mondo delle ambizioni così semplici.

martedì 21 dicembre 2010

XY - L'ULTIMO LIBRO DI SANDRO VERONESI

Inizialmente la curiosità è nata dal sito inernet http://www.x-y.it/ dove la casa editrice Fandango e Sandro Veronesi, autore di XY come anche di Caos Calmo, hanno ricreato Borgo San Giuda, i clan che lo abitano, i singoli membri di cui i clan sono composti, le case e la loro disposizione in quel borgo triestino in cui inizia l’indagine al centro della trama del libro.

Poi c’è stata un’intervista da parte di Fabio Fazio e, mah sì, mi sono detta, tanto c’è Natale alle porte e, se proprio non va giù, faccio ancora in tempo a impacchettarlo e regalarlo. Mani al portafoglio, ecco 20 Euro col resto di 50 centesimi e una borsa di tessuto con lo stemma della libreria in omaggio, visto che sono una cliente molto affezionata.

Ringrazio tuttacontenta, ma poi ci rimugino un po' su. E passi per la borsetta che mi ha indolcito un po’ la pillola, ma questo libro costa comunque 19,50 Euro! Eh va bene che c’è il Natale in vista, con la sana tradizione del riciclo, perché altrimenti una persona con uno stipendio

normale mica si arrischierebbe a tanto senza avere la certezza del godimento sperato, parenti e amici intimi dell’autore esclusi, ovviamente.

E il godimento c’è stato, così come lo stupore e l’ammirazione per le idee geniali, per gli intrecci, per la descrizione dei personaggi e dei luoghi: Borgo San Giuda ce l’avevo lì davanti ai miei occhi, ci ero dentro, ho passeggiato per quelle strade, scambiato due chiacchiere con i suoi abitanti spettegolando un po’ sulla storia dei clan, insomma mi sono divertita e nel contempo ho cercato di mettere insieme i pezzi e di ricostruire l’accaduto con una tensione crescente, che mi ha portato su in alto, molto in alto e ancora più su, lasciandomi poi lì, appesa al nulla.

Mi spiego. Il libro gira intorno a un evento terribile che sconvolge la vita di San Giuda, un piccolo villaggio appartato costituito da poche anime. In reltà non si sa bene cosa sia accaduto ma, lì davanti agli occhi dei personaggi e del lettrore ci sono solo i fatti: un albero ghiacciato intriso di sangue (di persone diverse) e tanti morti, uccisi nello stesso momento e nello stesso luogo. Anche se in modi diversi: chi per strangolamento, chi di overdose, chi di cancro, chi decapitato, chi per un boccone andato di traverso, chi per semplice suicidio, chi sbranato da uno squalo (siamo nei dintorni di Trieste).

Un delitto estremo, orrendo e impossibile da spiegare secondo le logiche quotidiane, talmente impossibile che tutti, persino le autorità di governo, sceglieranno una scorciatoia: faranno finta di non aver visto quello che hanno visto e daranno la colpa ad un attacco terroristico islamico.

Non tutti, però. Per alcuni il boccone è troppo amaro per essere buttato giù senza nemmeno sapere perché è successo questo, perché è successo proprio a San Giuda e perché è successo

proprio a loro. Tra questi ci sarà una psichiatra, un prete e uno strano ragazzo che dopo anni di silenzio, ricomincia a parlare.

Ci sarà X e Y, l’uomo e la donna, ma anche la scienza con i suoi tentativi di dare una spiegazione logica a tutto quanto, e il mistero dove il credere sostituisce il comprendere.

E fin qui, tutto bene, è alla fine che, appunto, dall’alto in cui siamo arrivati, osserviamo la terra che velocemente si sgretola sotto di noi, mentre il libro finisce, lasciandoci appesi, in attesa di una bella conclusione che ci riconduca per mano piano piano di nuovo sulla terra ferma.

Ma la conclusione non c’è. E io sono rimasta appesa.

Ho passato tre giorni a sconsigliarlo a tutti, delusa e frustrata (sono pur sempre 370 pagine circa!). Poi, però, ho pensato alla possibilità che Veronesi lo abbia fatto apposta e se è così allora è veramente un genio!

E’ così semplice: alla fine, sullo spiegare vince il credere, ed è per questo che altri avranno la mia stessa reazione, perché non siamo più abituati, perché riteniamo il credere senza lo spiegare un’azione incompleta in se stessa.

Ma, quindi, non è più possibile credere?



"PELLE" di Erica Zanin

"PELLE" di Erica Zanin
Un romanzo in vendita su www.ilmiolibro.it

"PELLE", il mio primo romanzo che consiglio a tutti!

Siamo nella Milano dei giorni nostri, in quella zona periferica che da Greco conduce a Sesto San Giovanni. In un autobus dell'ATM, un autista, ormai stanco del suo lavoro, deve affrontare una baby gang che spaventa i suoi passeggeri. Si chiama Bruno ed è uno dei tanti laureati insoddisfatti costretti a fare un lavoro diverso da quello da cui ambivano: voleva fare il giornalista e invece guida l'autobus nella periferia di Milano. Ma non gli dispiace e non si lamenta. E' contento lo stesso: è il re del suo autobus e i suoi passeggeri sono solo spunti interessanti per i racconti che scrive. Li osserva dallo specchietto retrovisore, giorno dopo giorno, li vede invecchiare, li vede quando sono appena svegli e quando tornano dal lavoro stanchi morti, e passa il tempo ad immaginarsi la loro vita. Finché nella sua vita irrompe Margherita, con la sua vita sregolata, con i suoi problemi di memoria, con i suoi segreti. E tutto cambia. Fuori e dentro di lui.