giovedì 2 maggio 2019

KILLING SONGS: THE KILLING MOON - ECHO & THE BUNNYMEN



Esistono canzoni che appena le senti capisci che ti sono già entrate dentro, così, all’improvviso, iniettando dentro di te una sensazione che sfugge al tuo controllo.
Canzoni che non ti lasciano respirare,  che ti esplodono dentro lasciandoti ammutolito, in ascolto.

The Killing Moon di Echo & the Bunnymen mi ha fatto questo effetto. L’ho sentita cantare da Manuel Agnelli e ho subito pensato che io questa soffice ballata onirica io la conoscevo già, che l’avevo già sentita milioni di volte anche se non avevo la più pallida idea di chi la cantasse.

E in effetti probabilmente l’avevo già sentita in diversi film (Donnie Darko, La ragazza della porta accanto, 13 reason why), ma più probabilmente era già dentro me prima ancora di essere scritta.

“È una canzone che riguarda la sensazione di essere predestinati“

Così ne parlava Ian Stephen McCulloch, il leader degli Echo & the Bunnymen, mentre raccontava di come il pezzo fosse stato registrato principalmente a Parigi, tra bottiglie di Beaujolais e centinaia di pacchetti di Gauloises,  negli Studios des Dames e Davout, attaccati a Monmartre. La leggenda, probabilmente messa in giro da McCulloch stesso, vuole che il ritornello della canzone gli fosse apparso in sogno cantato nientemeno da Frank Sinatra. 

“I’ve always said that The Killing Moon is the greatest song ever written. I’m sure Paul Simon would be entitled say the same about Bridge Over Troubled Water, but for me The Killing Moon is more than just a song. It’s a psalm, almost hymnal. It’s about everything, from birth to death to eternity and God – whatever that is – and the eternal battle between fate and the human will. It contains the answer to the meaning of life. It’s my “To be or not to be …” […] We went to Leningrad, then this place called Kazam, where nobody from outside Russia had been since 1943 or something. We went to a museum full of tractor parts and this very strange party organised by the young communists where everyone wore pressed Bri-nylon flares. But there was a lot of music and we came back full of ideas of Russian balalaika bands, which Les used for the middle of the song – this rumbling, mandolin-style bass thing.”Intervista da The Guardian. Ian McCulloch and Will Sergeant: how we made The Killing Moon

Nient’altro da aggiungere....




Testo:

The Killing Moon
ECHO & THE BUNNYMEN
Ocean Rain, 1984


Under blue moon I saw you 
So soon you'll take me 
Up in your arms, too late to beg you 
Or cancel it, though I know it must be 
The killing time 
Unwillingly mine 

Fate 
Up against your will 
Through the thick and thin 
He will wait until 
You give yourself to him 

In starlit nights I saw you 
So cruelly you kissed me 
Your lips a magic world 
Your sky all hung with jewels 
The killing moon 
Will come too soon 

Fate 
Up against your will 
Through the thick and thin 
He will wait until 
You give yourself to him 

Under blue moon I saw you 
So soon you'll take me 
Up in your arms, too late to beg you 
or cancel it though I know it must be 
The killing time 
Unwillingly mine 

Fate 
Up against your will 
Through the thick and thin 
He will wait until 
You give yourself to him 

Fate 
Up against your will 
Through the thick and thin 
He will wait until 
You give yourself to him 
You give yourself to him 

La la la la la... 

Fate 
Up against your will 
Through the thick and thin 
He will wait until 
You give yourself to him 
You give yourself to him 

La la la la la... 

Fate 
Up against your will 
Through the thick and thin 
He will wait until 
You give your...self to him 

Fate 
Up against your will 
Through the thick and thin 
He will wait until 
You give yourself to him 


La la la la la...

lunedì 29 aprile 2019

The road, recensione scomposta

Titolo: The Road
Genere: Drammatico, thriller.
Durata: 111 minuti.
Paese di produzione: Stati Uniti d’America.
Regia: John Hillcoat
Attori principali: Viggo Mortensen, Kodi Smit-McPhee , Charlize Theron, Guy Pearce, Robert Duvall, Molly Parker
Tratto da: romanzo Premio Pulitzeer 2006 "La strada" di Cormac McCarthy (Ed. Einaudi)
Musiche: Warren Ellis, Nick Cave
Data uscita: 28 Maggio 2010




Se n’era andata e quella freddezza era stata il suo ultimo regalo. Morì chissà dove nel buio.Non c’è altra storia da raccontare.




Un mondo post apocalittico, in coma. Zero forme di vita, vegetale ed animale. L’America è una pianura piatta e scheletrita in cui pochi superstiti vagano alla ricerca di cibo nel freddo senza luce di una fitta coltre di fumo.


Un padre (Viggo Mortensen) e suo figlio di circa 8 anni (Kodi Smit-McPhee) seguono la strada verso sud, alla ricerca di un clima più tollerabile, alla ricerca della salvezza, alla ricerca di un mare che non ha più nemmeno il colore del mare.

L’amore smisurato che c’è tra di loro, la mancanza di tutto, la consapevolezza del padre di non poter difendere il proprio figlio per sempre, il tentativo di insegnare al figlio come sopravvivere.




Una pellicola cupa, rigorosa, quasi insostenibile per lo spoglio realismo, che ha messo insieme con ritmo serrato il drammatico, il thriller, ed il post-apocalittico

The Road è un interessantissimo film a volte spietato, altre commovente realizzato nel 2009 dal regista australiano John Hillcoat, tratto con inutile fedeltà dal romanzo di Cormac McCarth La strada, pubblicato nel 2006 e vincitore del Premio Pulitzer nel 2007.

Il film è stato tenuto dal produttore nel cassetto per un anno e dal distributore italiano per altri sei mesi. Entrambi speravano che la crisi sociale, originata da quella economica, finisse, temendo che il tono greve che caratterizzava il film è la filosofia hobbesiana dell’ “homo homini lupus”, che ne era alla base, potesse appesantire il clima da crisi economica. Ma la crisi era appena cominciata, quindi non restava altro da fare...
E forse proprio a ripristinare un barlume di speranza serve la morale familiare religioso/cristiana con cui sembra chiudersi.


In tutto questo, la presenza di una star del calibro di Charlize Theron imposta da Hollywood ha spinto gli sceneggiatori a dare maggiore spazio al personaggio della moglie del protagonista, che nel libro di Mccarthy occupava poche pagine, togliendo equilibrio e conferendo pesantezza alla pellicola.

Spettacolare invece Viggo Mortensen, uno di quegli attori che ha talmente bisogno di immedesimarsi nel suo personaggio che ha deciso di dormire indossando i suoi vestiti quotidiani e di affamarsi in modo terribile, tanto che i commessi di un negozio di Pittsburgh lo hanno via, convinti che fosse un senzatetto.

Altro elemento degno di nota è la colonna sonora minimalista composta da Nick Cave e Warren Ellis, un sapiente miscuglio di suoni sinistri e oscura bellezza, tra violini, piano, suoni elettronici e loop sonori.

Ma questa non è la prima volta di Nick e del suo barbuto collega: lo aveva già fatto nei western "La proposta" e "L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford" e lo rifarà in seguito con Lawless, sempre di John Hillcoat.

Con poche e azzecate soluzioni pianistiche e l'immancabile violino, il duetto australiano è riuscito a ricreare in 17 sezioni strumentali un sottofondo onirico decadente e delicato per il lungometraggio, una finestra per riprendere fiato mentre ci muoviamo stretti tra il nero del mare e il grigio del cielo.

1. "Home" (2:04)
2. "The Road" (3:40)
3. "Storytime" (2:25)
4. "The Cannibals" (2:03)
5. "Water And Ash" (1:31)
6. "The Mother" (2:46)
7. "The Real Thing" (2:32)
8. "Memory" (3:42)
9. "The House" (3:16)
10. "The Far Road" (2:45)
11. "The Church" (1:34)
12. "The Journey" (4:14)
13. "The Cellar" (1:08)
14. "The Bath" (2:31)
15. "The Family" (3:41)
16. "The Beach" (3:45)
17. "The Boy" (3:11)


lunedì 11 febbraio 2019

GREEN BOOK: QUANDO NERO DOCET




Genere: Commedia
Regia: Peter Farrelly
Attori principali: Mahershala Ali, Viggo Mortensen, Linda Cardellini, Mike Hatton
Sceneggiatura: Nick Vallelonga, Peter Farrelly, Brian Hayes Currie
Fotografia: Sean Porter
Montaggio: Patrick J. Don Vito
Musica: Stu Goldberg, Kris Bowers
Produzione: DreamWorks, Participant
Anno e paese di uscita: USA, 2018




“Basta un passo, perché il mondo è ricco di persone sole che per timidezza non lo fanno”. Tony Lip

Wow! Per fortuna mi hanno consigliato di vederlo, perché credo che altrimenti Green Book non avrebbe mai attratto la mia attenzione. Un po' perché i film semi demenziali dei fratelli Farrelly non mi fanno impazzire ("Tutti pazzi per Mary" e "Scemo e più scemo", per intenderci), un p'’ perché il tema e la trama mi davano un po' un’idea di pesantezza.

E invece no, Green Book è un film che dice, ammazza se dice.


Una commedia on the road, con due figure in rilievo alle prese con un viaggio negli Stati Uniti più integralisti a bordo di un'elegante Cadillac azzurra, in un'America anni Sessanta, piena di odio e settarismo tra bianchi e neri, poveri e ricchi, omosessuali e eterosessuali.

La trama si basa sull'incontro/scontro tra i due protagonisti Viggo Mortensen, nei panni del buttafuori italoamericano Tony "Lip" Vallelonga, e Mahershala Ali, che interpreta Don Shirley, un raffinato pianista e jazzista nero di grande successo ed eleganza. Uno l'opposto dell'altro - un  po' rude, sbrigativo, sboccato ma leale e devoto alla famiglia il primo, educato, elegante, pieno di stile e colto il secondo -, i due viaggeranno insieme in turné - il bianco a fare da autista al nero - in un duetto pieno di situazioni picaresche e tragicomiche e imprevisti spesso divertenti e a tratti teneri ed emozionanti.

E infatti, a guardare bene, Green book è la storia di un percorso, perché ogni personaggio, in fondo, ne compie uno, fino ad arrivare ad un ribaltamento di piani etnici. Così Don Shirley, che inizialmente era il ritratto della solitudine e della compostezza, si ritroverà a trascorrere la cena di Natale a casa del nuovo amico, simbolo invece di incontaminati affetti.
Un ribaltamento in tutti i sensi, anche nella figura del “magical negro” proposta è riproposta da Spike Lee: qui non è un nero ma un bianco che nella trama del film ha lo scopo di aiutare non un bianco ma un nero a risolvere i propri problemi. Un “magical white”, insomma.

Anche il titolo riprende il tema dell’America segregazionista, perché fa riferimento al The Negro Motorist Green Book, una guida scritta da Hugo Green e pubblicata dagli anni 50, che serviva ai viaggiatori afroamericani a individuare motel e ristoranti che li avrebbero accettati senza rischi.

Il film è già stato riempito di riconoscimenti: standing ovation alle prime proiezioni al Toronto Film Festival dove si è aggiudicato il People’s Choices Award, vittoria ai Golden Globe Awards 2019 dove ha ricevuto 3 Golden Globe. In primis per la miglior commedia, poi per l’attore Mahershala Ali (visto recentemente anche in House of cards), e per la sceneggiatura ispirata alla storia semiseria realmente accaduta di Tony Lip, padre appunto dello sceneggiatore Nick Vallelonga, che ha scritto il film insieme al regista Peter Farrelly.
Manca solo il Premio Oscar, ma ci siamo quasi! Per il momento è candidato a 5 Premi Oscar 2019: miglior film, migliore attore protagonista (un incredibile Viggo Mortensen che per entrare nel personaggio è dovuto ingrassare di ben 20 kg), migliore attore non protagonista (Mahershala Ali, e, curiosità, sarebbe la prima volta per un musulmano), migliore sceneggiatura originale e migliore montaggio.

Insomma Green Book ha passato il mio esame e continuerò a ricordarlo per il suo perfetto equilibrio fra risata e parabola sulla tolleranza, per l’uomo raffinato che impara a mangiare il pollo fritto con le mani, così come per gli occhi degli schiavi nei campi della Louisiana quando vedono un autista bianco portare in giro il signore nero.

Perché, come Don Shirley insegna, “La dignità prevale su tutto. Sempre”.

giovedì 27 dicembre 2018

ADDIOPIZZO E LA PALERMO RITROVATA


"In questi anni nell'area occidentale della città, diversi commercianti e imprenditori hanno maturato la forza e il coraggio di denunciare i propri estorsori. Sono operatori economici che, con l'ausilio di Addiopizzo, hanno dato il loro contributo alle indagini. La straordinaria azione delle forze dell'Ordine e della magistratura ha inferto dei colpi molto pesanti a Cosa Nostra, ma se a tale lavoro non seguirà un atto di coraggio e di responsabilità da parte di chi è taglieggiato, i nuovi estorsori si ripresenteranno per riaffermare la loro signoria territoriale sul quartiere e sulle attività economiche", Associazione Addiopizzo.



 "Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità".


Una frase che mi è piaciuta tantissimo e che è diventata il motto del Comitato Addiopizzo, un movimento antimafia palermitano, che dal 2004 si è fatto portavoce di una vera e propria "rivoluzione culturale". 

A raccontarmi la storia di Palermo e di questa associazione, è stato un ragazzo, un giovane e coraggioso padre di famiglia, che dedica parte del suo tempo libero a far conoscere a cittadini, studenti e turisti quelle persone, quei luoghi a quelle storie che testimoniano la dominanza della prepotenza mafiosa nella vita quotidiana palermitana, cosi come anche la volontà di schierarsi contro di essa e aderire alla rete "Pago chi non paga".
Il tutto con uno storytelling emozionale itinerante, tra le vie di una Palermo neanche troppo nascosta. 


L'obiettivo? La promozione di un'economia virtuosa e libera dalla mafia attraverso lo strumento del "consumo critico Addiopizzo". 

In che modo? Organizzando incontri con cittadini, commercianti, scuole e parrocchie. 

Perché questo ragazzo mi ha ricordato che tutti possiamo avere un ruolo attivo nella lotta al racket facendo scelte d'acquisto consapevoli, optando per i prodotti e servizi offerti da chi si è rifiutato di pagare il pizzo.
E se arte vuol dire generare qualcosa di bello e prezioso dal caos, allora anche Addiopizzo è un'arte.


Mi è piaciuta anche l'idea di fondare Addiopizzo Travel, un tour operator che propone turismo etico pizzo-free per chi dice no alla mafia. Un'ulteriore declinazione della strategia del consumo critico contro il pizzo, applicata al settore del turismo, che offre la possibilità di conoscere persone, luoghi e storie di chi ha fatto una scelta coraggiosa.
Una nuova esperienza da provare, rincorrendo la giustizia e la libertà.



domenica 16 dicembre 2018

AUTOTERAPIA DI MAURIZIO RUGGIANO: QUANDO LE FERITE DIVENTANO LUCE



"L'arte è una ferita che si trasforma in luce", Braque.

Classe 1966, una collezione di disagi e una serie di relazioni travagliate alle spalle tra cui quella conflittuale con i propri genitoi abusi sessuali e il proprio vissuto di omosiessualità.

E la ricerca. La ricerca di se stesso ad ogni costo, e di un modo per ricucire gli strappi, in monasteri francescani, così come attraverso il buddismo tibetano, la macrobiotica e la mistica sufi, e il superamento del trauma attraverso l'arte e l'autoanalisi che questa implica.

Il risultato? Installazioni, foto, video, computergrafica, arazzi composti con oggetti riciclati, come immagini simboliche di blocchi psichici. Crudezza e candore, una vertigine di corpi, sessi, lotte e emozioni sfilano di fronte ai volti di spettatori quasi anestetizzati dalla vita, per cercare di sconvolgerli, di trapiantare un germe in loro.

È l'Autoterapia di Maurizio Ruggiano, una necessità espressiva, ma anche un processo di confessione, elaborazione e trasformazione con ambizione alla funzione terapeutica.



E quando parliamo di trasformazione ci riferiamo al mutamento a 360°: un rito liberatorio che vadalla trasformazione di sé, alla lavorazione dei feticci e dei materiali di scarto, per mettere ordine nel disordine della vita.

Domando perché come sfondo delle sue opere inserisce sempre delle linee verticali colorate."Per rimanere ancorato alla realtà, mentre la mente viaggia" risponde, circondato da vecchi peluches ingabbiati e video con un'a storia emotiva lacerante.


Un artista a tutto tondo, formatosi all'Accademia di Belle Arti di Palermo, che fino al 26 gennaio 2019 espone le sue opere presso l’Associazione Nuvole di Palermo, in una mostra personale a cura di Luciana Rogozinski.

martedì 4 dicembre 2018

ROMA DI CUARON: ECCO PERCHE’ DEVI CORRERE AL CINEMA




«Siamo tutte sole», disse la padrona di casa parafrasando la famosa frase di mia madre: «Nasciamo sole e moriamo sole».

Titolo originale: Roma
Genere: Drammatico
Regia: Alfonso Cuarón
Attori principali: Yalitza Aparicio, Marina de Tavira, Marco Graf, Daniela Demesa, Diego Cortina Autrey
Anno e paese di produzione: Messico, USA, 2018
Durata: 135 minuti
Uscita al cinema: lunedì 3, 4 e 5 dicembre 2018
Distribuzione: Cineteca di Bologna




Il consiglio è: correte al cinema per non perdervi la possibilità di vedere l’ultimo capolavoro di Cuarón sul grande schermo. Avete tempo fino al 5 dicembre (anche se il Cinema Beltrade di Milano ha aggiornato la programmazione proponendolo fino all'11 dicembre), poi, dal 14, Roma sarà disponibile su Netflix. Ma non sarà sicuramente la stessa cosa.
Perché?
Perché un film girato in bianco e nero in 65 millimetri ha bisogno del buio della sala per essere gustato appieno. Perché le coraggiose sale indipendenti che hanno deciso di proiettare “Roma” sono state minacciate di rappresaglie e ritorsioni. Perché, dopo il gran rifiuto di Cannes, che ha escluso i film prodotti dalle piattaforme (tra cui quello dei fratelli Coen), Roma è riuscito comunque a trionfare all’ultima Mostra di Venezia.
E, se tutto questo non bastasse, perché Roma è un film di una straziante bellezza, il ritratto di una famiglia durante gli Anni Settanta a Città del Messico.

Una storia all’interno della storia, dal macro, al micro: in una stagione di profonda instabilità politico-economica in cui le tensioni sociali non tardano a farsi sentire, Cleo si occupa di accudire con amore e devozione, 24 ore su 24 no stop, marito, moglie, nonna, quattro figli + un cane, in una famiglia benestante in cui presta servizio come domestica tuttofare.
E in un bellissimo bianco e nero, Cuarón racconta la solitudine e la dignità umana profonda di questa donna, la sua quieta implosione che la porta a sorprendersi di quanto giocare a "fare finta di essere morta" sia sorprendentemente piacevole, un po’ come cantava Bjork:



I play dead,It stops the hurtingI play deadAnd the hurting stops.





E se anche voi vi chiedete, così come ho fatto io, cosa c’entra Roma con tutto questo, Beh, eccovi la soluzione: Roma è un quartiere medioborghese di Città del Messico.

martedì 4 settembre 2018

L’isola dei cani e la distopia di Wes Anderson

Titolo originale: Isle of Dogs
Regia: Wes Anderson
Interpreti (voci originali): Bryan Cranston, Bill Murray, Edward Norton, Liev Schreiber, Greta Gerwig, Jeff Goldblum, Bob Balaban, Harvey Keitel, Scarlett Johansson, Tilda Swinton, Francesc McDormand, F. Murray Abraham, Ken Watanabe, Yoko Ono
Distribuzione: Fox
Durata: 101′
Origine: USA, 2018




«Non sarei in grado di spiegarvi con esattezza tutto il processo creativo di questo film ma posso dirvi che due grandi fonti di ispirazione sono stati Akira Kurosawa e Hayao Miyazaki. Amo l’uso che fanno dei dettagli e dei silenzi, e come mettono in scena la natura. Senza dimenticare però La carica dei 101, il film Disney che amo di più. Mi piace ricordare sempre Tom Stoppard che dice di iniziare un lavoro non quando ha un’idea, ma quando ne ha due che si mischiano, che collidono».


Una terribile influenza canina. In un futuro distopico, nell’arcipelago giapponese.
Un’isola-discarica dove vengono deportati tutti i cani della Prefettura. L'Isola dei cani, appunto.


Dittature in agguato, studenti ribelli e animali cyborg a fare la guardia al potere. Rifiuti ammassati come sofisticate costruzioni di design.

E la storia d’amore tra un ragazzino e il suo cane perduto. E' Atari, il piccolo pilota icona della rivoluzione, in cerca del suo Spots, il primo cane deportato da Kobayashi.

Insieme a lui un gruppo di cani meticci, stanchi della loro condizione.

La purezza dell’infanzia, la ricerca spasmodica di simmetria, persino nell'ammasso di rifiuti che ricoprono l'isola.

Primo film distopico scritto, diretto e co-prodotto dal regista texano Wes Anderson. Un epico viaggio di formazione tra presente e passato, animato in stop motion, in cui parlare di un mondo futuro paradossale è un modo di parlare di quello che viviamo oggi.

E 5 anni per realizzarlo: i personaggi sono pupazzi e i paesaggi in cui si muovono sono modellini in scala.


“Ho messo insieme tutti quelli con cui avrei voluto lavorare in un film. Con alcuni di loro avevo già lavorato, con gli altri sognavo di farlo. Con un film di animazione è più facile avere tutti gli attori che vuoi. Nessuno può dirti: sono impegnato in quel periodo. Dare la voce a un personaggio è un qualcosa che puoi fare in qualunque momento e ovunque ti trovi“.


Un omaggio alla bellezza del cinema giapponese (in cui compare anche l’artista Yoko Ono), fatto di un umorismo complesso e sofisticato, con dialoghi densi è serrati, alternati a lunghi silenzi, con il giapponese non tradotto né sottotitolato (e sarà così in tutte le versioni del film, in qualsiasinazione).


E il buon Desplat lo capisce molto bene, con una partitura spigolosa e interessante. Una bella analisi sulla colonna sonora in questo post di Collateral Sound.


Curiosità

Perché guardare L'isola dei cani?
Perché è un piccolo capolavoro che nasconde tanto lavoro:

- Il film è stato girato in 445 giorni
- La crew era formata da 670 persone, incluse quelle che hanno scolpito e modellato tutti i pupazzi
- Il film è composto da 850 scene, 76 delle quali con animazioni 2D e stop motion
- 144.000 fotogrammi hanno coperto i 100 minuti di durata del film
- Il set più grande era lungo 9 metri. Il più piccolo era grande come un iPhone
- 1097: sono i pupazzi realizzati, dei quali oltre 500 umani e 500 cani
- Per realizzare il pupazzo di ogni animale protagonista ci sono volute circa 16 settimane
- Ciascun personaggio umano ha avuto 53 facce scolpite con differenti espressioni. Ciascuno con 48 differenti bocche per realizzare i dialoghi.

Da vedere.

La stanza delle meraviglie: quando il racconto si fa poesia



Titolo originale: Wonderstruck
Regia: Todd Haynes
Attori principali: Julianne Moore, Oakes Fegley, Millicent Simmonds, Jaden Michael, Cory Michael Smith. Cast completo
Genere: Avventura
Uscita: USA, 2017
Durata: 120 minuti



Tutti giacciono nel fango, ma qualcuno guarda le stelle.

Due epoche diverse, 1977 e 1927, ad alternarsi senza soluzione di continuità. Due città divise da centinaia di chilometri, Minnesota e New Jersey. Due bambini, Benji e Rose. Anche loro diversi. Ognuno con la sua personale odissea e col suo miraggio da rincorrere.
Solo la sordità li unisce, il loro esilio sonoro. Oltre ad un avventuroso viaggio intriso di corrispondenze e rimandi, attraverso una New York a colori per uno, in bianco e nero per l'altra. E al libraio, naturalmente.


Perché il mistero deve venire a galla. E se per Benji il mistero è il segnalibro di una libreria newyorkese sul quale trova un messaggio del padre che non ha mai conosciuto, per Rose è Lillian Mayhew (Julianne Moore), una diva del cinema muto che la ragazza vuole incontrare nel teatro dove sta portando in scena il suo spettacolo teatrale.


Intanto, il muto si alterna al parlato, e Space oddity di David Bowie a Also sprach Zarathustra di Richard Strauss, anche se la colonna sonora funziona in qualche modo come collegamento significante tra i due mondi.
Dietro tutto questo Todd Haynes e Brian Selznick. Il primo, modernissimo, sperimentale e sensibile regista statunitense, il secondo scrittore e illustratore americano dell'omonima opera grafico-letteraria (lo stesso di Hugo Cabret), nonché sceneggiatore stesso del film.

Insomma, in conclusione, un film visionario sicuramente da vedere, di una tenerezza assoluta, giocato su un gioco ipnotico di simmetrie, tra stupore e speranza.

Curiosità: il nome originale, Wunderkammer, significa letteralmente "gabinetti delle curiosità", ovvero quegli armadi o stanze ripiene di oggetti meravigliosi e reperti straordinari da conservare che germogliarono tra il Seicento e il Settecento, incoraggiati dalla maestosità del Barocco e dagli interessi scientifici dell’illuminismo. Da questi gabinetti, hanno poi avuto origine i musei.

sabato 2 giugno 2018

DOGMAN: IL WESTERN DE NOI ALTRI SI FA POESIA


Regia: Matteo Garrone
Attori principali: Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi, Francesco Acquaroli
Genere: Drammatico
Uscita: Italia, 2018
Durata: 100 minuti



"Ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura dodici anni fa: nel corso del tempo l'ho ripresa in mano tante volte, cercando di adattarla ai miei cambiamenti. Finalmente, un anno fa, l'incontro con il protagonista del film, Marcello Fonte, con la sua umanità, ha chiarito dentro di me come affrontare una materia così cupa e violenta, e il personaggio che volevo raccontare: un uomo che, nel tentativo di riscattarsi dopo una vita di umiliazioni, si illude di aver liberato non solo se stesso, ma anche il proprio quartiere e forse persino il mondo. Che invece rimane sempre uguale, e quasi indifferente", Matteo Garrone.

Impressioni

Il ringhio di un pitbull da combattimento. Un uomo piccolo e mite: Marcello. Un negozio di toelettatura, Dogman, appunto.

La periferia, proprio lì, sospesa tra tra metropoli e natura selvaggia, a bordo del mare. E il degrado.

Simone, un ex pugile, che intimidisce, taglieggia e umilia. Lo sguardo smarrito di Marcello in riva al mare. Sopraffazione e sottomissione. In un'Italia terra di nessuno.

La complessa realtà e la necessità che condiziona le scelte. Belve ferite. La quieta rivalsa del Canaro della Magliana, infine, e una nuova dignità riconquistata. Forse.


Curiosità



1. Marcello premiato al Festival di Cannes

"La mia vita è il cinema". È' Marcello Fonte a parlare, una grandissima sorpresa con alle spalle una storia emozionante di resistenza morale alle difficoltà della vita, nonché Palma d'oro a Cannes per il miglior attore in Dogman:
«Marcellooo!», ha urlato Benigni.
«Pensavano che non avessi capito ma invece io volevo godermelo. La vita è piena di cose brutte. "Facciamolo durare un po' di più" mi sono detto. E ho contato fino a tre» ha detto lui.

2. Un po' dramma, un po' western
Il mio film è anche un western, ha detto Matteo Garrone a proposito di Dogman. E infatti l'ambientazione è una periferia romana fatta di edifici all'apparenza disabitati, strade sterrate, muri scrostati, buoni che diventano cattivi e viceversa.

3. La trilogia della violenza
Dogman completa la trilogia sulla violenza, andando ad aggiungersi ai due precedenti drammi cupi ispirati alle storie vere di un'Italia di degrado, corruzione e iniquità:

- L'imbalsamatore (2002), ispirato alla vicenda di cronaca romana del "nano di Termini"
- Primo Amore (2004), che riprende Il cacciatore di anoressiche, il romanzo autobiografico del 1997 di Marco Mariolin.

Tra orrore, ossessione (per il bello, per il corpo perfetto, vivo o morto) e oscurità della mente umana.

4. Dieci minuti di applausi
Quelli che hanno accolto la proiezione ufficiale al Gran Theatre Lumiere.

GOHAR DASHTI E LA COLLISIONE DEGLI OPPOSTI. IN UNA FOTO



Un rimbalzo continuo tra ironia e amarezza, incanto e sofferenza, severità ed evasione. Risultato? Foto incisive, dal lessico raffinato e dall'audace simmetria creativa.

È Gohar Dashti, una delle autrici più interessanti della scena contemporanea iraniana, artista dalla cifra stilistica di rara suggestione, nonché mia coetanea (Ahvaz, Iran – 1980).

Lirismo e magnetismo. Una voce da ascoltare, e molto altro: gruppi di persone immortalati sullo sfondo di panorami incontaminati e remoti paesaggi desertici, gente vulnerabile, immersa in una natura possente e silenziosa, paesaggi surreali. Guerra e vita. E tutta la potenza di una foto.



lunedì 14 maggio 2018

AMERICAN HONEY, L'AMERICA IN UN MOSAICO



Titolo originale: American Honey
Regia: Andrea Arnold
Attori principali: Sasha Lane, Shia LaBeouf, McCaul Lombardi, Arielle Holmes, Crystal Ice
Genere: Commedia drammatica
Durata: 162 minuti
Prima data di uscita: 2016 (USA)
Regia: Andrea Arnold
Sceneggiatura: Andrea Arnold
Fotografia: Robbie Ryan


Impressioni..


Una ragazza poco più che adolescente + un gruppo di ragazzi scatenati che attraversa il Midwest a bordo di un minivan saturo di fumo e musica. Vendono abbonamenti a riviste porta a porta per guadagnare qualche soldo.
Poi, Star e Jack.

La foga, la rabbia, la gioia furtiva di un amore on the road, nato già in pezzi.

Lei, disinvolta e delicata, sveglia e sognatrice, un profilo delicato e quasi infantile, ma anche sensibile e sensuale. Lui, scatenato e carismatico.

Feste sfrenate e le braci di un fuoco intorno al quale ballare fino all'alba, a colpi di Rihanna.
La ricerca di vita, la bellezza, nonostante tutto, nonostante la sporcizia, nonostante la palude.

Ma non è tutto oro quel che luccica.

Un road trip che macina chilometri, senza portare da nessuna parte, tra una sigaretta, una canna e una canzone di Rihanna cantata a squarciagola. Frammenti di un viaggio senza una meta, che gira a vuoto e si ripete infinite volte, come un mantra. Giorno e notte.

L’America dei villini della classe medio-alta, gli scenari suburbani, le aree di parcheggio dei grandi camion e la vita negli impianti petroliferi.


La generazione dopo Larry Clark, dopo l'AIDS, il punk e la collera. Che non sogna più, anche se il Boss alla radio continua a cantare "Dream Baby Dream".

Andrea Arnold filma camera a spalla l’inseguimento di un'illusione di libertà, con un ritmo irrefrenabile. E La ricerca di vita e di amore "in a hopeless place". Con Jack o senza.

"PELLE" di Erica Zanin

"PELLE" di Erica Zanin
Un romanzo in vendita su www.ilmiolibro.it

"PELLE", il mio primo romanzo che consiglio a tutti!

Siamo nella Milano dei giorni nostri, in quella zona periferica che da Greco conduce a Sesto San Giovanni. In un autobus dell'ATM, un autista, ormai stanco del suo lavoro, deve affrontare una baby gang che spaventa i suoi passeggeri. Si chiama Bruno ed è uno dei tanti laureati insoddisfatti costretti a fare un lavoro diverso da quello da cui ambivano: voleva fare il giornalista e invece guida l'autobus nella periferia di Milano. Ma non gli dispiace e non si lamenta. E' contento lo stesso: è il re del suo autobus e i suoi passeggeri sono solo spunti interessanti per i racconti che scrive. Li osserva dallo specchietto retrovisore, giorno dopo giorno, li vede invecchiare, li vede quando sono appena svegli e quando tornano dal lavoro stanchi morti, e passa il tempo ad immaginarsi la loro vita. Finché nella sua vita irrompe Margherita, con la sua vita sregolata, con i suoi problemi di memoria, con i suoi segreti. E tutto cambia. Fuori e dentro di lui.